Ospito con grandissimo piacere la prima "recensione"/riflessione sulla raccolta Come si aspettano le ore, riflessione scritta da Gennaro Rega, attivissimo lettore e redattore su Riviste online come Minima&Moralia e La Ricerca.
Chiunque volesse leggere la raccolta (e scrivermi alcune sue considerazioni) trova il libro qui: Come si aspettano le ore.
Buona lettura!
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Impressioni su Come si aspettano le ore.
Le due esplicite citazioni del Prologo (“secondo Kierkegaard, la scelta è un salto nel baratro. Ma secondo Sartre, la scelta è anche responsabilità”) inquadrano la scelta rischiosa e responsabile di Simone di voler perseverare nel discorso poetico.
Come si aspettano le ore è un textus cioè un tessuto finemente lavorato tramato da un’unità parlante che osserva, discute, riflette, giudica una variegata, anche se quotidiana fenomenologia esistenziale ed è in grado di “raschiare dalla sabbia l’oceano”. Questa voce ora appare lontana e smarrita, ora ricerca e ritrova la sua umanità e l’esigenza di confrontarsi e rispecchiarsi nell’Altro. Questa voce si sostiene offrendo un controcanto di citazioni dai poeti più amati (Ossi di seppia, Quando morendo un mattino d’estate, Dicono che è stato meglio partire, Ti libero la fronte dai pensieri, con stilemi montaliani fin dal titolo; oppure lo spleen baudeleriano personificato in Spleen e l’ardore; o i riverberi dei classici latini come in La traversata è un intoppo).
L’io poetante per scelta deliberata si rappresenta all’interno di una vita appartata e intessuta di semplici cose e di semplici gesti. Eppure la esprime spesso con un’ alta temperatura stilistica, sostenuta da una accorta padronanza formale e da assonanze di rime sparse nei testi quasi con pudore.
Le prime poesie della raccolta (E adesso andiamo tu ed io; La sepoltura dei morti; Ossi di seppia; Spleen e il reale; Mezzanotte; Adesso so che sei una Lucrezia; Quando morendo un mattino d’estate) evocano una morte, una assenza di chi ha avuto un ruolo decisivo per Simone e ne è stata il nume protettore, il “diamante” che lo ha forgiato.
Poi questo vuoto con Siccità (“un altro futuro è possibile”), è destinato a ridursi, “perché la cognizione del dolore si interseca/ col lavorio dell’algebra/ e non lo soppianta”, si constata in Esistere poeticamente. A Giovanna contiene un appassionato manifesto di vita, colto icasticamente nei versi “la tensione alle cose infinite prevede l’eterno iniziare,/ col terrore di concludere e il tremore di non arrivare”. La donna amata incarna il mito della fuggente Atalanta. Così in Esistere poeticamente (“l’amante non prenderà mai l’amata,/ ma la avrà per sempre”). Oppure in Canto quasi d’amore (“ti inseguirei anche sotto la grandine”).
Struggenti sono le parole che vorrebbero rinviare la perdita, la separazione, dopo aver sfiorato il corpo desiderato. In Ti rivedo laddove spicca “il gesto morbido con cui tieni le coperte/ aspetta la stretta di ogni mattina”; in Una casa piena di cioccolata, elegiacamente singhiozza : “Ora ti aspetto come si aspettano le ore e quello che deve venire, come sempre ho aspettato anche le cose insignificanti, che oggi sono di piombo” .
Fino a cristallizzarsi in una sorta di “terzo paesaggio” che contiene “nostalgia del presente”, “nostalgia del passato” e “frantumi” di una lente che non permettono di intravvedere un nuovo orizzonte.
La poesia più sfuggente è forse D’estate, di notte, avrei spergiurato. Il corpo è la mente. La mente è il corpo. Con sottigliezza giuridica, l’autore sfugge al dilemma e da spergiuro promette una risposta dirimente che non è ancora in grado di dare.
Ma sapremo aspettare le tue “nuove” ore, Simone!
Gennaro Rega