giovedì 6 agosto 2020

Impressioni su "Come si aspettano le ore"

Ospito con grandissimo piacere la prima "recensione"/riflessione sulla raccolta Come si aspettano le ore, riflessione scritta da Gennaro Rega, attivissimo lettore e redattore su Riviste online come Minima&Moralia e La Ricerca.
Chiunque volesse leggere la raccolta (e scrivermi alcune sue considerazioni) trova il libro qui: Come si aspettano le ore.
Buona lettura!

***

Impressioni su Come si aspettano le ore.


Le due esplicite citazioni del Prologo (“secondo Kierkegaard, la scelta è un salto nel baratro. Ma secondo Sartre, la scelta è anche responsabilità”)  inquadrano la scelta rischiosa e responsabile di Simone di voler perseverare nel discorso poetico. 
Come si aspettano le ore è un textus cioè un tessuto finemente lavorato tramato da un’unità parlante che osserva, discute, riflette, giudica una variegata, anche se quotidiana fenomenologia esistenziale ed è in grado di “raschiare dalla sabbia l’oceano”. Questa voce ora appare lontana e smarrita, ora ricerca e ritrova la sua umanità e l’esigenza di confrontarsi e rispecchiarsi nell’Altro. Questa voce si sostiene offrendo un controcanto di citazioni dai poeti più amati (Ossi di seppia, Quando morendo un mattino d’estate, Dicono che è stato meglio partire, Ti libero la fronte dai pensieri, con stilemi montaliani fin dal titolo; oppure lo spleen baudeleriano personificato in Spleen e l’ardore; o i riverberi dei classici latini come in La traversata è un intoppo). 
L’io poetante per scelta deliberata si rappresenta all’interno di una vita appartata e intessuta di semplici cose e di semplici gesti. Eppure la esprime spesso con un’ alta temperatura stilistica, sostenuta da una accorta padronanza formale e da assonanze di rime sparse nei testi quasi con pudore.
Le prime poesie della raccolta (E adesso andiamo tu ed io; La sepoltura dei morti; Ossi di seppia; Spleen e il reale; Mezzanotte; Adesso so che sei una Lucrezia; Quando morendo un mattino d’estate) evocano una morte, una assenza di chi ha avuto un ruolo decisivo per Simone e ne è stata il nume protettore, il “diamante” che lo ha forgiato. 
Poi questo vuoto con Siccità (“un altro futuro è possibile”), è destinato a ridursi, “perché la cognizione del dolore si interseca/ col lavorio dell’algebra/ e non lo soppianta”, si constata in Esistere poeticamente. A Giovanna contiene un appassionato manifesto di vita, colto icasticamente nei versi “la tensione alle cose infinite prevede l’eterno iniziare,/ col terrore di concludere e il tremore di non arrivare”. La donna amata incarna il mito della fuggente Atalanta. Così in Esistere poeticamente (“l’amante non prenderà mai l’amata,/ ma la avrà per sempre”). Oppure in Canto quasi d’amore (“ti inseguirei anche sotto la grandine”). 
Struggenti sono le parole che vorrebbero rinviare la perdita, la separazione, dopo aver sfiorato il corpo desiderato. In Ti rivedo laddove spicca “il gesto morbido con cui tieni le coperte/ aspetta la stretta di ogni mattina”; in Una casa piena di cioccolata, elegiacamente  singhiozza : “Ora ti aspetto come si aspettano le ore  e quello che deve venire, come sempre ho aspettato anche le cose insignificanti, che oggi sono di piombo” . 
Fino a cristallizzarsi in una sorta di “terzo paesaggio” che contiene “nostalgia del presente”, “nostalgia del passato” e “frantumi” di una lente che non permettono di intravvedere un nuovo orizzonte.
La poesia più sfuggente è forse D’estate, di notte, avrei spergiurato. Il corpo è la mente. La mente è il corpo. Con sottigliezza giuridica, l’autore sfugge al dilemma e da spergiuro promette una risposta dirimente che non è ancora in grado di dare.
Ma sapremo aspettare le tue “nuove” ore, Simone!

Gennaro Rega





martedì 28 luglio 2020

Come si aspettano le ore

Un saluto a tutti.
Da oggi, testi inediti e poesie comparse anche in questo blog sono finalmente un libro!
Per quanto sia un gesto "semplice", è sempre un atto significativo: permette a chi scrive di confrontarsi con gli altri.
La raccolta Come si aspettano le ore è disponibile qui, in formato ebook, perciò immediatamente reperibile e leggibile con un click (tanto per continuare il discorso virtuale). Una poesia travagliata ma immediatamente fruibile: c'è qualcosa di interessante in questo...



mercoledì 13 maggio 2020

Che cosa ha da dirci ancora Gadda



    È uno scritto complessissimo, difficile da affrontare, ancora più difficile da continuare. Ad ogni ostacolo – e ce ne sono molti – viene la tentazione di abbandonarlo. Ma chi sceglie di leggerlo sa che si sta addentrando in un terreno impervio. Detto questo, vi sono però diversi modo per affrontarlo, senza necessariamente dedicare ore all’analisi e alla comprensione di ogni singola frase o parola (o, addirittura, segno grafico).
    La cognizione del dolore ha molto da dire anche se la si legge “in superficie”. Spesso si sente dire che la scrittura di Gadda, di Joyce, di Eliot – la scrittura “sperimentale”, l’avanguardia, l’espressionismo, il modernismo – non hanno un senso in sé e vanno lette apprezzando il modo della scrittura più il contenuto. È falso. Tanto più per La cognizione, che, come si può intuire dal titolo, ha una pretesa di contenuto molto elevata, da un punto di vista etico, filosofico, umano. Dietro la scrittura arzigogolata, ora barocca, ora tecnica, esasperata, pedante si rivela piuttosto chiaramente l’esigenza dell’Autore: parlare del “male oscuro” e della sua profonda presa di coscienza. La forma complessa, aggrovigliata, ingarbugliata riflette – come spesso si legge nei manuali – questa esigenza: l’esigenza, cioè, di parlare di una realtà che è di per sé complessa, aggrovigliata, impossibile da dipanare – il guazzabuglio del cuore manzoniano o, secondo la metafora cara a Gadda, la matassa e il groviglio. Per certi versi, Gadda non sembra molto lontano dai poeti suoi contemporanei: il male di vivere montaliano e l’impossibile “parola squadrata” per parlare del reale; la dimensione sepolta di Ungaretti che esce solo attraverso la purezza delle parole. Ma mentre per gli “ermetici” questa irrazionalità e solitudine si traduce nello scarno, nel “togliere”, in Gadda avviene il contrario: l’irrazionalità del mondo e l’incomprensibilità di sé avviene con l’aggiunta, l’enumerazione, la stratificazione, l’involuzione delle frasi, l’accumulo. Se non puoi dire il male o la realtà, puoi accumulare le frasi, gli attributi, il disordine: come quando lo studente impreparato non può far altro che riversare frasi a casaccio su quello che ricorda della lezione, per dimostrare che un’impronta, un certo di disordine, una visione caotica di ciò che non ha capito gli è rimasta comunque appiccicata addosso.
    La realtà, per Gadda, è complessa, troppo per poterla capire o definire con categorie. Va quindi espressa attraverso tutte le sue manifestazioni. Ma questa inafferrabilità cozza col desiderio di ordine che viene dall’io (quella che Freud chiamerebbe nevrosi). Da qui il male: il dolore, come la realtà, è “indicibile”. Ne La cognizione, il male assillante è una nevrosi che attanaglia Gonzalo e che aleggia nel paesino-fotocopia della Brianza (per meglio dire: parodia della Brianza). È un male molteplice: è l’incomunicabilità con gli altri; è la ipocrisia della società borghese; è il disprezzo per la classe proletaria che vive “a ufo”. Ma è soprattutto il “male oscuro”, un dolore talmente indicibile che viene raccontato come un male arcano di cui parlano i libri degli Incas. Un male che nasce dall’io – parola impronunciabile per Gonzalo! È anche il male della perdita, dell’abbandono: Gonzalo, alter ego dell’Autore, ha perso il fratello in una guerra inutile (inutile anche nel nome, che pare una caricatura: la guerra fra Maradagàl e Parapagàl). Una guerra che richiama la Prima guerra mondiale, in cui Gadda combatté è perse il fratello. È un male per sé ma soprattutto per la madre, di cui racconta e immagina il dolore: stupende le pagine di aperture della Seconda Parte, in cui si descrive la notizia della morte del figlio e il dolore della “cara mamma”.
   Questo male porta Gonzalo alla nevrosi e al disprezzo. La società borghese, col suo fare insensato, alimenta l’irrazionalità della vita. La classe proletaria, al contrario, non si cura del male, intenta a vivere di stenti, favori ricevuti, lamenti che hanno il solo scopo di farsi aiutare e tirare a campare. La madre, l’essere angelico distrutto dal dolore, scatena in lui un dolore più grande: immaginare il male di lei è la sofferenza più devastante. Ma al contempo, Gonzalo si rivolge a lei in modo scontroso, irriverente, sprezzante, aggressivo, sfiorando la violenza, pur consapevole di fare il male e di amarla. Aspetta il ritorno della cara mamma; il suo tardare o non tornare gli prefigura il dolore più indicibile: la morte di lei. Ma non le mostra affetto: l’immagine che offre all’esterno è totalmente contrastante; tantoché di lui si raccontano gli attacchi di ira verso la mamma e qualcuno arriva a paventare – lo stesso Autore! – che lui voglia il male di lei, che voglia liberarsene, che a lui interessino solo le ricchezze.
   Il male è anche il fascismo. È difficile non leggere, nelle lunghissime pagine dedicate al “Nistituo de Vigilancia”, la viltà del regime. Nella cittadina della Brianza-sudamericana, la sicurezza è affidata a una polizia corrotta e pigra: a farla da padrone è l’istituto di vigilanza notturna, una squadra di ronde notturne a cui è demandata la sicurezza delle ville. L’istituto è affetto dagli stessi vizi della macchina statale, con la quale per certi versi è un tutt’uno: falsi invalidi che chiedono la pensione, ex reduci incompetenti etc. Ma soprattutto, l’istituto sembra più intento a “far succedere” i furti nelle case dei non abbonati al servizio piuttosto che prevenire i reati nelle altre ville. Puntualmente e inevitabilmente, le case dei non iscritti sono saccheggiate e messe a soqquadro.
   Commistione fra istituto (leggi: partito) e istituzioni; violenze sui non iscritti; collusione fra le squadre armate e gli organi istituzionali; pressioni e angherie, minacce velate sui villeggianti: tutto riporta al fascismo, all’uso privato delle istituzioni, allo squadrismo. Va ricordato che Gadda, inizialmente affascinato dal fascismo, dal suo vitalismo e dal suo richiamo all’ordine e disciplina contro la confusione della realtà, riscontrò proprio nel fascismo quegli stessi mali e vizi da cui voleva liberarsi:
   Qui Gadda dipinge una dimensione spesso dimenticata del regime. Quando si dice che i “soli” difetti del fascismo furono le leggi razziste e la guerra, si ignora che il fascismo è da sùbito un sistema corrotto: che imbroglia e falsa le carte a proprio vantaggio; che usa l’intimidazione con stile mafioso; che usa le istituzioni per scopi personali ed egoistici; che sguazza nella corruzione e nella mala gestio della cosa pubblica; che usa la slealtà per farsi strada; che cambia le carte in tavola per vincere la partita; che arma squadre di teppisti contro cittadini disarmati. Quello, nella propaganda, è “ordine e coraggio”, nella realtà è corruzione e vigliaccheria.

sabato 3 marzo 2018

Disgelo

Qui pioviggina e lentamente si scioglie
la voglia di vivere
che ricopriva le strade.
Le cose lontane tornano a vedersi
a vicinanza impressionabile
e giunchi che erano pinnacoli di sale dolce
sono rimasti di ghiaccio.
Abbandonàti al ricordo di cose andate
e lasciati alle cose che saranno,
le quali, come zucchero salato,
di notte si infiltrano nelle nostre ferite.

S.R.

3/3/2018

venerdì 25 agosto 2017

Inni alla notte

Forse perché della melodia inaudita
della notte nulla sai
e ti trascini tra lampioni spenti,
in periferie sporche,
fra mercenari di erotiche sostanze
stupefacenti;
e della notte nulla conosci,
se non gli spari
che a volte rintoccano sui crani
di sfortunati passanti.
La sorte - mala o bona -
non è fiato di voce
che significhi qualcosa
negli angoli di strada.
Felicità infetta gli amori consumati
sui cigli dei marciapiedi
e nei tuffi dei canali sporchi
di catrame.
E chi la afferra nelle pieghe della notte,
nelle pause della mente,
rovistando tra l'io-penso,
cerca e trova pace
negli anfratti
dove il mare s'alza in gran burrasca.

S.R.

domenica 25 giugno 2017

Siccità

Ho il giardino pieno di lucciole.
Finita l'acqua per annaffiare il campo,
siamo pronti per la lunga e calda giornata:
l'importante è reprimere il dissenso.
Arso il deserto del giardino:
comunque, sto ancora aspettando che piova.

Nemmeno un battere d'ali si sente.
Ma ho sentito un tuono.
Il grizzly di Yellowstone rimosso dalle specie a rischio:
un altro futuro è possibile.

S.R.

mercoledì 14 giugno 2017

A Giovanna

E adesso che è reciso
anche l'ultimo spago,
torno al mio solito viaggio
fra mari aperti e sconosciute sponde.
Forse per questo
amo le opere incompiute.
Posare l'ultima pietra ha sempre
un'aria tombale;
spesso più facile è disseminare
di piccoli grani la strada
che mai nessuno riuscirà a ritrovare.
Perché la tensione alle cose infinite
prevede l'eterno iniziare,
col terrore di chiudere
e il tremore di non arrivare.
È inumano spiegare all'orizzonte le vele
e fuggire
quando lo si vede avanzare.
Per questo mi muovo fra perdita e profitto
e li sposo con identico ardore
e li attendo con lo stesso timore.